Dead On Arrival review on Truemetal

È una storia decisamente lunga ed articolata quella degli Hollywood Killerz, glam band torinese che, a dispetto di un’origine risalente alla fine degli anni novanta, giunge solo ora alla realizzazione di quello che può essere considerato come l’autentico debut album in carriera.

Nato sull’onda del mai sopito interesse per il glam rock dei seventies, il gruppo guidato dal singer Harry, ha sin qui prodotto una serie di demo ed EP – sempre editi in via del tutto autonoma – accompagnando principalmente il proprio moniker ad una intensa attività in sede live, culminata anno dopo anno (sin dalla data di ideazione, nel 1999), con il celebre e rinomato Glam Attakk festival, kermesse dedicata ai suoni stradaioli che ha tradizionalmente visto il gruppo tricolore dividere il palco con artisti emergenti e nomi di grande richiamo e notorietà, tra i quali, per citarne uno sparuto numero, Alice Cooper, Nasty Idols, Tigertailz, The Dogs D’Amour, Love/Hate, Shameless e più di recente, Crashdiet.

In cantiere già dal 2007, ed ancor più in là, abbozzato in alcuni brani addirittura in epoche precedenti, “Dead On Arrival” è in sostanza, quello che potremmo definire come una sorta di riassunto antologico dei primi dieci anni di carriera di un gruppo divenuto, in qualche modo, storico nella scena sleaze glam di casa nostra, pur senza mai essere arrivato prima d’ora, al traguardo dell’opera discografica “ufficiale” e distribuita su larga scala.

Il merito di questa opportunità – senz’altro meritata – è da attribuire all’encomiabile interesse della neonata logic(il)logic, diramazione di Street Symphonies, che null’altro ha dovuto fare, se non concedere ai torinesi la possibilità di tradurre in concreto il proprio estro e talento, allineando in questo singolare esordio una ad una, tutte quelle che sono le caratteristiche sostanziali di una proposta che respira e vive il glam rock da “strada” alla vecchia maniera.

Sin troppo facile e persino banale, accorpare gli stilemi “classici” che innervano nel profondo la musicalità degli Hollywood Killerz, a quel filone imperante e voluminoso nei numeri, che è divenuto in tempi recenti l’hard rock alcolico ed irriverente di estrazione scandinava.

In effetti, le peculiarità che porterebbero i Killerz ad evidenti paragoni con nomi di spicco del settore, quali – sparando nel mucchio – Crashdiet, Vains of Jenna e per certi versi, ultimi Hardcore Superstar, sono evidenti tanto da rendere l’esercizio puramente didascalico. Osservando con occhio più acuto tuttavia, non potranno non sfuggire le reali influenze che animano il sound dei cinque glamsters, decisamente radicate in epoche meno recenti.

I pezzi di “Dead On Arrival”, infatti, profumano di quell’indimenticabile scena sleaze anni ottanta, animata dai soliti grossi nomi, ma ugualmente spinta da band non meno osannate sebbene di minor richiamo mediatico. Le esperienze di Tigertailz (a cui, indubbiamente, gli Hollywood Killerz tributano il moniker), Faster Pussycat, Pretty Boy Floyd e più indietro ancora New York Dolls, mescolate a Wildhearts e classicissimi Guns e Motley, sono dunque le assi portanti di un sound che poggia sull’esuberanza di chitarre focose e vocals ruvide, ed offre il meglio esprimendo lo spirito sfrontato di un modo di far musica, cui non mancano, come da manuale, importanti iniezioni melodiche e svisate ritmiche spinte sino ai confini del punk.

Articolato in ben tredici capitoli, il debut album del gruppo torinese soddisfa per larga parte di quanto proposto. Le caratteristiche della tracklist, impongono ad ogni modo una valutazione relativa all’opportunità di un minutaggio piuttosto sostenuto per un’opera di questo particolare settore. In effetti abbastanza lungo, “Dead On Arrival” soffre un po’ sulla distanza: i colpi migliori racchiusi nella parte iniziale della scaletta, sortiscono l’effetto di far apparire in leggera sofferenza le battute finali del cd, decisamente più sottotono se confrontate con gli scoppiettanti primi brani.

Degne dei migliori Crashdiet e Tigertailz, “700.000”, “Grey Celebrations”, (veri “classici” del gruppo), “Luxury” e “Girls ® Dead” (uno dei pezzi “forti” dal vivo) infilano melodie strappaorecchie e ritornelli eccitanti, ponendo in evidenza un’ottima verve alle chitarre e la buona voce – in qualche istante quasi alla Alice Cooper – del mastermind Harry. Altri sprazzi di ottimo rock n’roll vitaminizzato, arrivano con prepotenza sull’onda di “Going Down” e “All Tomorrow’s Parties”, pezzi dotati, oltre all’immancabile tiro glam-punk, di notevolissime dosi di rivitalizzante energia.

Altrove invece, il profilo tende a divenire meno accattivante, perdendo in qualche misura di vista il fondamentale aspetto legato alla prestanza di melodie orecchiabili e di facile identificazione. “Somewhere Out Of This Mind”, “Over And Over”, “Through The Sand” e “Our Memories May Be Right” sono, ad esempio, pezzi forse troppo “trascinati” che avrebbero potuto essere sviluppati in maniera migliore. Le buone idee in termini di riff ci sono comunque, ma il songwriting pecca in dinamismo e capacità di mantenere viva l’attenzione oltre un primissimo approccio.

Nulla di particolare anche la ballata finale “More Than It Hurts You”, preceduta però da quello che è l’episodio forse più importante e storico per la band piemontese, motivo di lustro di questa seconda parte del cd. L’incandescente e nervosa “Lovecrash”, risalente addirittura al 2003, mostra il lato più cattivo e selvaggio dei Killerz, mantenendo pochi dubbi su quale sia la “versione” più vincente e a noi gradita del gruppo.

Più di dieci anni per arrivare al debutto discografico, raggiunto con buon successo qualitativo, il supporto di una label attenta e valori senza dubbio competitivi. Esperienza che non manca quindi, patrimonio da mettere a frutto per la vita futura degli Hollywood Killerz.

La scintilla insomma, è finalmente scoccata. Il bello (e difficile), arriva da qui in avanti…

Fabio Vellata

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